Quasi quasi l’inizio di “Ballarò” sembra teletrasportarmi alla Genova di “Crueza de ma”. E non a caso parliamo di porti, artificiali e naturali. E non a caso torniamo a sfogliare la storia di un popolo di confine che dal mare prende tutto quello che arriva, lingue, caratteri, tradizioni. Con il mare sembra esserci un rapporto unidirezionale, si prende e si fa proprio quello che arriva. Chitarrista e compositore, Massimiliano Cusumano ci racconta la Sicilia in questo bellissimo disco che ad ora esiste solo in formato digitale e che troviamo ovviamente in tutti i principali canali di distribuzione. Pubblicato da RadiciMusic, si intitola “Island Tales” ed è proprio il racconto della cultura e del popolo siciliano di oggi. Un disco strumentale dalla scrittura world, andando ovviamente a sfogliare tracce arabe, africane, percussive, momenti di tango e momenti latini. Momenti pop, decisamente italiani in alcuni tratti e se con “Ballarò” appunto si apre il disco parlando del mercato rionale di Palermo, io punterei il dito sulla bellissima “Afrika” (che tra l’altro vedo sottolineata in diverse pubblicazioni che troverete in rete circa l’opera), unico momento in cui appaiono voci corali a sostenere una melodia che sa di tramonto e di arrivederci. C’è molta nostalgia dentro questo lavoro di Massimiliano Cusumano. C’è molta nostalgia e molto senso di casa. Ho quasi l’impressione che sia un disco che voglia difendere la propria casa dallo stupro culturale di questo futuro che arriva.
Sicilia e resto del mondo. Chi incontra chi nel tuo nuovo disco?
Si tratta di una mescolanza, di un rapporto bidirezionale tra chi arriva e chi osserva, ma anche tra chi vive in questa terra e chi ci ha vissuto prima di noi. La Sicilia è una terra d’incontri. Questa particolare dimensione, che è sia geografica che culturale, rende la mescolanza e la fusione di idee e sentimenti molto agevole a chi le porge l’orecchio. La Sicilia è stata terra di conquiste e tutti quelli passati da qui hanno lasciato qualcosa, un patrimonio ricco, specialmente per quanto riguarda l’arte, la musica, la letteratura, la cucina e l’architettura. Le melodie presenti in questo lavoro tentano di evocare queste culture che hanno arricchito la storia della mia terra.
Nel raccontare quel che è la tua terra ti sei mantenuto fedele alle tradizioni o in qualche momento hai pensato bene di fare delle trasgressioni di forma?
Come accennavo prima i suoni e le melodie presenti nel disco sono frutto del meltingpot culturale dell’isola che si fonde e si mescola con le sonorità popolari. Di sicuro, quindi, c’è molta tradizione ma questa inevitabilmente assume una dimensione nuova quando viene alla luce in un disco che è figlio dei nostri tempi.
Che poi non è sempre la chitarra la vera protagonista… o sbaglio?
Non c’è dubbio che la presenza di altri strumenti e altre voci, come quella del sax, siano molto presenti. Del resto ho lavorato al disco nella duplice veste di chitarrista e compositore e i due aspetti si intersecano a vicenda, talvolta uno prevale sull’altro e sempre si stimolano a vicenda. Forse gli altri possono giudicare quale sia prevalente.
Vivere in un’isola, per quanto sia un’isola come la Sicilia… che sensazione restituisce a chi il mondo lo vede con gli occhi di un artista?
La regione in cui vivo é un punto nevralgico di scambio e di incontri. Essere al centro del Mediterraneo non è solo una posizione geografica ma diventa una connotazione culturale, dell’anima direi. Essere un “isolano” e un artista ti concede una posizione privilegiata da cui scrutare l’orizzonte. Ti dà l’opportunità di accogliere e di ricevere ma ti concede anche una via preferenziale verso ogni luogo. Mi piace pensare alla mia terra come un porto, quindi come un luogo da dove poter partire o dove poter arrivare.
La parola. Ovviamente manca la parola come in ogni disco strumentale. Ma giocando con la fantasia, che tipo di voce e di parola e di estetica dovrebbe avere la parola se fosse in questo disco?
Difficile rispondere, anche se sono presenti delle voci in verità. Quelle del mercato in Ballarò e la suggestiva voce di DoudouDiouf in Afrika. Credo che la mia esigenza sia stata quella di scegliere delle voci e delle parole vicine più al suono, ancora libere da sovrastrutture e artifici in modo da lasciare cantare la terra e da lasciare ad altri la libertà di sentire echeggiare delle parole.