Renato Barilli

Intervista a Renato Barilli: che arte fa oggi in Italia

 

 

La 69 esima edizione del Premio Michetti dal titolo “Che arte fa oggi in Italia” che sarà possibile visitare fino al 30 Settembre presso Il MuMi di Francavilla al Mare (Ch), sta riscuotendo successo da parte della critica e dei visitatori sempre più incuriositi e partecipi.

A questa edizione hanno partecipato numerosi artisti provenienti da tutta Italia abilmente selezionati dal critico d’arte Renato Barilli.

Renato Barilli è professore emerito presso L’Università di Bologna dove ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso Dams. Ha scritto numerosi libri ed è organizzatore di interessanti mostre sull’arte italiana dell’Ottocento e del Novecento.

Lo scorso 4 Settembre 2018, Renato Barilli è tornato a Francavilla al Mare per omaggiarci di un’inedita visita guidata nelle sale del Museo Michetti.

In occasione di questo evento organizzato accuratamente dal presideente della Fondazione Michetti, Carlo Tatasciore, il noto critico d’arte ci ha rilasciato questa interessante intervista in cui ci ha parlato del suo legame con l’artista Francesco Paolo Michetti, del ruolo dell’arte in questa epoca contemporanea e dell’esposizione di alcune sue opere alla Permanente di Milano a Novembre.

 

Lei ha già curato altre edizioni del suddetto Premio. Qual è il suo legame con l’artista Francesco Paolo Michetti e Francavilla al Mare?

E’ un legame intenso, culminato nel Premio del 1993, da me curato assieme a mia moglie Alessandra Borgogelli e intitolato L’ultimo Michetti, catalogo Alinari. Prendevamo spunto dalle due grandi tele, ora sistemate proprio nella sala interna del Museo dove si tengono gli incontri, con cui l’artista aveva partecipato all’Expo parigino del 1898. Vi credeva molto, ritenendo di toccare il culmine del suo successo, invece dovette amaramente constatare che cadevano nel vuoto, lasciando freddi critici e visitatori. Il fatto è che in quel momento di fine secolo e inizio di quello successivo il gusto stava cambiando e non era più  favorevole a opere di impronta realista-folclorica, come le due in oggetto. MIchetti ne trasse una conseguenza estrema, che non era più il caso di continuare a dipingere, divenendo così un antesignano di quella che nel ’68 si sarebbe detta la “morte dell’arte”. Del resto egli aveva già imbracciato un valido sostituto, la fotografia, cui da quel momento ridusse la sua attività, con magnifiche foto di bagnanti sulla battigia, o magari di pastorelle, ma affrontate da vicino con l’obiettivo fotografico. Oppure continuò nella produzione di dipinti, ma su carta, di formato ridotto, ed eseguiti a memoria, in modi vividi e sintetici, quasi rasentando esiti da pittore fauve. Quella mostra ebbe un ottimo successo, dalla sede di Francavilla riuscimmo a portarla a Roma, Palazzo Braschi, sede del museo della città, da Alinari a Firenze e perfino a Parigi, nella sede del nostro Istituto di cultura. Credo che ci starebbe bene dedicarle un remake, o, come si dice oggi, un re-enactement. Poi di sicuro ho fatto l’edizione del 2011, consistente in una retrospettiva del grande pittore Mattia Moren

Il titolo di questa edizione è “Che arte fa oggi in Italia”. Qual è il ruolo dell’arte in questa società in cui tutto si consuma rapidamente?

Sono del tutto ottimista e speranzoso circa i destini dell’arte, che oggi si fa con gli stessi strumenti in tutte le parti del mondo, come non era mai successo prima nell’intera storia dell’umanità. Per secoli noi Occidentali ci siamo valsi di un realismo pre-fotografico che non ha avuto riscontri in tutte le altre culture, molte delle quali, come quelle arabe, proibivano decisamente un’arte che fosse rappresentativa. Oggi invece dappertutto si fa uso del triangolo lanciato proprio dalla grande svolta del ’68, foto-oggetto stesso installato nello spazio-scrittura. Ma si deve aggiungere anche un rinnovato ricorso alla pittura, soprattutto se questa viene usata a livello parietale e con intenti decorativi. Il quadro, insomma, è ampio e incoraggiante, tanto più che oggi si assiste pure a una notevole presenza di artiste donne, quasi escluse in tutti i secoli precedenti, e da tutte le culture, compresa la nostra.

Come vive il ruolo di “talent scout” artistico?

Mi sono sempre considerato in prima battuta un critico militante, e dunque il mio compito è di prendere contatto con gli artisti giovani proprio per andare a vedere da che parte soffia il vento della creatività, senza perdere tempo.

Negli ultimi anni si stanno diffondendo in campo artistico le installazioni che sono state ritenute un potente mezzo espressivo per raccontare in ampi spazi delle storie. Lei cosa pensa del valore espressivo di esse?

Ho già ricordato sopra che quella dell’installazione è una modalità per fare arte che è stata sancita dalla rivoluzione del ’68, con collegamento all’atto rivoluzionario più forte del secolo scorso, quello compiuto da Duchamp con l’andare a prendere gli oggetti “tali e quali”, già fatti, ready-made, rinunciando al compito, che fino a quel momento appariva inevitabile, del “rappresentarli”, del tradurli in immagini su supporti piani, cartacei o di tavola lignea o di tela. Nello stesso tempo l’installazione è qualcosa di più libero e vario rispetto al recupero puro e semplice di un oggetto, soprattutto se aggiungiamo che in genere al giorno d’oggi la si vuole “site specific”, cioè ideata pensando al luogo  dove farla stare, il che implica anche che si possa uscire dai luoghi deputati, musei e gallerie, per andare ad animare vie, pareti esterne, incroci di strade e così via. E dunque, le installazioni dimostrano di avere in sé dei poteri straordinari, di grande fertilità. Tuttavia viviamo pure in tempi pronti alla dialettica, e dunque assistiamo anche a dei ritorni in scena della pittura, ma anch’essa in versione allargata, praticata nelle forme del wall painting, del graffitismo e simili, dunque anche per questa via l’arte si diffonde, sfugge alla costrizione in sedi obbligate.

Quali consigli darebbe ad un giovane artista che vorrebbe farsi conoscere nel panorama artistico odierno?

Il primo consiglio è di informarsi bene, di andare a vedere che cosa fanno gli altri, soprattutto i coetanei, i compagni di generazione. E’ idea sbagliata che la creatività debba svilupparsi in solitudine, la concorrenza non è solo l’anima del commercio, ma anche dell’attività artistica. Bisogna misurarsi sulle invenzioni degli altri, rimanere al passo con quanto si fa di valido attorno a noi.

Progetti futuri di Renato Barilli… Qualche anticipazione?

Nei miei prossimi anni ci sta una variante curiosa, ora che sono in pensione ho recuperato una mia vecchia disponibilità a fare arte direttamente, cosa che avevo abbandonato nel 1962 per darmi esclusivamente alla critica. Mezzo secolo dopo, nel 2012, ho ripreso a dipingere, compiendo cioè l’operazione inversa rispetto a Michetti, ma come lui lavorando su fogli di carta e con  colori vividi. C’è anche, proprio come nel caso di Michetti, la mediazione della foto, infatti parto sempre da foto scattate col cellulare, o fattemi inviare da altri, da cui ricavo i miei dipinti. Invito tutti a una mostra che farò alla Permanente di Milano nel prossimo novembre.

 

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Autore dell'articolo: Redazione Webmagazine24

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