L’uomo che rubò a Banksy al cinema a dicembre. Il film di Marco Proserpio, sarà nelle sale solo l’11 e il 12
La presentazione de L’uomo che rubò a Bansky al cinema, avrà un’anteprima lunedì 26 al Torino Film Festival.
Il film racconta la storia dello sguardo palestinese su un’arte di strada di matrice occidentale e sui messaggi che la Street Art veicola sul muro che separa Israele dalla West Bank.
E’ anche il racconto della nascita di un mercato parallelo, tanto illegale quanto spettacolare, di opere di Street Art prelevate dalla strada senza il consenso degli artisti.
L’uomo che rubò a Bansky al cinema, alterna riprese fatte in strada in diversi paesi e interviste ad esperti e personaggi chiave del mercato parallelo della Street Art.
È il 2007. Banksy e la sua squadra si introducono nei territori occupati e firmano a modo loro case e muri di cinta. I palestinesi però non gradiscono
Il murale del soldato israeliano che chiede i documenti all’asino li manda su tutte le furie:
passi l’essersi introdotto nei territori e l’aver agito senza nemmeno presentarsi alla comunità, ma essere dipinti come asini davanti al resto del mondo è troppo.
A vendicare l’affronto con un occhio al bilancio ci pensano un imprenditore locale, Maikel Canawati, e soprattutto Walid, palestrato taxista del posto.
Con un flessibile ad acqua e l’aiuto della comunità, Walid decide di tagliare il muro della discordia. Obiettivo dichiarato: rivenderlo al maggior offerente.
Sono passati 7 anni da allora e l’asta per quel pezzo di muro non si è ancora conclusa:
per oltre 100mila dollari una tonnellata di muro di uno degli artisti più celebri è stata trasferita in Scandinavia e ora pensa a volare oltreoceano.
L’uomo che rubò Banksy al cinema, partendo da alcuni casi concreti di opere finite sul mercato all’insaputa dei loro autori, affronta tematiche di attualità legate alla comparsa della speculazione nel mercato della Street Art.
Per arrivare al diritto d’autore, al confronto tra culture diverse in un’ottica post-coloniale e al recupero di opere percepite come delle vere e proprie sfide tecnologiche anche da restauratori specializzati nello stacco di affreschi rinascimentali.
Una testimonianza straordinaria che dà voce, per la prima volta, a Walid di spiegare la sua scelta di segare, per venderli, i muri offerti da Banksy al popolo palestinese.
In questo modo lascia decidere al pubblico chi sono i buoni e i cattivi in questa storia, perché, come spesso accade, anche qui è solo una questione di punti di vista.