Prestazioni sanitarie pubbliche in calo in tutta Italia
Prestazioni sanitarie pubbliche in calo in tutta Italia. Nell’ultimo anno circa un italiano su tre (equivalente a 19,6 milioni di cittadini) è costretto pagare per le cure mediche essenziali. Ciò è la conseguenza delle interminabili liste d’attesa per le prestazioni mediche pubbliche. Si tratta di una vera e propria emergenza sanitaria che rende difficoltosi i livelli essenziali di assistenza (Lea).
Gli ultimi dati parlano chiaro; in Italia la spesa privata è aumentata a 37,3 miliardi di euro, mentre quella pubblica registra un meno 0,3% (rispetto al 2014). Il 62% di chi ha effettuato una prestazione sanitaria nel SSN ne ha fatta almeno un’altra nella sanità a pagamento.
Lunghe liste d’attesa nel SSN
Nell’ultimo anno, infatti, circa il 44% della popolazione si è rivolta direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione medica senza neanche tentare di prenotarla nel pubblico. Altri ancora, invece, visti i lunghissimi tempi d’attesa, o avendo addirittura trovato le liste chiuse, hanno scelto di rivolgersi ai servizi a pagamento. Per comprendere a pieno la situazione ecco riportati alcuni numeri. Per una visita endocrinologia nel servizio sanitario nazionale si aspetta in media 4 mesi, 3 mesi per un controllo diabetologico, e circa 2 mesi per un accertamento oncologico, neurologico, gastroenterologico, oculistico. Tra le visite diagnostiche, invece, occorrono in media 97 giorni d’attesa per una mammografia, 75 per una colonscopia, 71 per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.
Le parole del Ministro Giulia Grillo
«Questo è un argomento che ho fortemente cercato di risolvere. Ora le Regioni possono erogare la prestazioni in intramoenia o con delle convenzioni nel privato accreditato facendo pagare solo il ticket al paziente. Io direi che non ci sono più scuse, è solo un problema organizzativo ». Così ha commentato il Ministro della Salute Giulia Grillo in riferimento alle nuove regole contenute nel Piano nazionale sulle liste d’attesa.
Quest’ultimo, approvato lo scorso febbraio, ha stabilito tempi massimi per garantire le prestazioni (da 30 a 180 giorni a seconda della gravità della patologia); inoltre è stato oggetto di forti critiche dai sindacati dei medici per aver fatto i conti al netto delle risorse disponibili sul territorio, cioè sempre meno medici.
Fonte Immagine: FBK Magazine