Autore: Raffaella Guiducci
SanPa la docuserie di Netflix che riaccende il dibattito su San Patrignano
SanPa, La docu-serie racconta, le controverse vicende legate alla comunità di recupero fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, provincia di Rimini,
L’opera filmica costituisce il frutto di un intenso lavoro di ricerca volto alla ricostruzione dei fatti attraverso approfondimenti e dettagliate interviste (circa 180 ore), filmati dell’epoca, contributi fotografici.
La copiosità del materiale raccolto ha richiesto ben tre anni di lavorazione per la realizzazione della docuserie in 5 episodi della regista Cosima Spender con la sceneggiatura di Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli.
Il prodotto sta generando un’ondata di polemiche e sta dividendo pubblico e critica.
La comunità di San Patrignano si è dissociata dai contenuti del della docu-serie con un comunicato stampa definendola tendenziosa e parziale.
Al centro del dibattito la potente figura di Vincenzo Muccioli santo per alcuni, demone per altri.
D’altronde il titolo della serie ne evoca esattamente il tema: luci e tenebre.
Infatti, tutta la narrazione induce continuamente lo spettatore a provare sensazioni contrastanti.
SanPa, Le Luci di San Patrignano
I primi due episodi di SanPA (denominati rispettivamente “Nascita” e “Crescita”) evidenziano il contesto storico in cui nasceva e si sviluppava la comunità.
Il dilagare della droga negli anni 70/80
Alla fine anni ‘70 inizio ‘80 il fenomeno della tossicodipendenza da eroina si diffuse in modo esponenziale tra i giovani dell’epoca provenienti dai più disparati ambiti sociali e culturali.
Viene ben sottolineato come al tempo fosse di una facilità incredibile trovare una dose di eroina.
Addirittura pare che i pusher regalassero questa droga per favorirne la diffusione.
Coraggiosa l’affermazione secondo cui il fenomeno era da ricondurre ad una sorta di collusione stato-mafia volta spegnere cervelli con la droga. Ciò per placare l’agitazione culturale e sociale che ebbe il suo apice alla fine degli anni ’70 (movimenti studenteschi, terrorismo e quant’altro).
Non a caso, quanto meno gli ex ospiti di San Patrignano del periodo 79/95 che sono stati intervistati nella serie, mostrano acume, padronanza del linguaggio, cultura. Due di loro frequentarono l’università a spese della Comunità.
Si tratta dell’attuale Responsabile terapeutico di San Patrignano, il Dottor Antonio Boschini, molto pacato e piuttosto neutro nel raccontare la sua esperienza e nel commentare le vicende, e di Fabio Cantelli ex portavoce di Muccioli, scrittore e filosofo. Figura centrale, la più illuminante della serie.
“Nascita”
All’epoca le città di tutta Italia erano arredate da tappeti di siringhe usate mentre i tossicodipendenti, annientati dalla dipendenza, si davano alla vita criminale per una dose e morivano sui marciapiedi.
In tutto ciò lo stato era completamente assente, anzi inesistente.
I tossicodipendenti erano considerati reietti della società destinati inesorabilmente alla morte.
In tale quadro disastroso, un uomo romagnolo dalla presenza imponente e dallo sguardo penetrante ed ipnotico, un taumaturgo dedito a pratiche esoteriche ed all’omeopatia, decide di voler salvare i tossici “con ogni mezzo”.
Decide, quindi, di accogliere queste persone emarginate e disperate a San Patrignano.
Andrea Muccioli mostra la prima casa dove il padre iniziò ad ospitare i tossicodipendenti, casa sua.
Li collocava nella sua sala, in cucina, nella sua camera da letto.
Li seguiva uno per uno alleviando lo strazio fisico della “rota” con erbe, massaggi, agopuntura.
Successivamente l’iter prevedeva l’applicazione di quello che poi diventò il c.d. metodo San Patrignano: lavoro e disciplina ferrea.
Non era prevista la somministrazione di farmaci così come non veniva applicata alcuna forma di psicoterapia.
La comunità era completamente laica ed autogestita.
SanPa, “Crescita”
Nei primi due episodi emerge questa figura eroica di Muccioli, che si adoperava personalmente per ogni singolo ospite giungendo persino a cercare i ragazzi “evasi” dalla comunità per ricondurli dentro strappandoli dalla vita di strada e probabilmente dalla morte.
Sempre più famiglie si rivolgevano alla comunità di San Patrignano. Impressionante la fila di macchine fuori al cancello dove addirittura le persone dormivano e si accampavano per giorni in attesa di essere ricevute.
Il metodo San Patrignano e il processo delle catene
Già nel secondo episodio iniziano ad emergere le ombre del metodo San Patrignano che prevedeva segregazione e coercizione per i casi difficili.
Dopo alcune denunce, nel 1983 prende avvio il c.d. processo delle catene affrontato dalla giurisprudenza come “il problema della revocabilità del consenso dell’avente diritto” come spiega il magistrato Vincenzo Andreucci che istruì all’epoca il caso.
Secondo i giudici di primo grado, che condannarono Muccioli, tale consenso prestato all’inizio, poteva essere in ogni momento revocato. Ciò partendo dal presupposto il soggetto in cura non avesse la piena capacità di intendere e di volere.
Molto forti e disturbanti le immagini di ragazzi incatenati e segregati in piccionaie ed in altri luoghi scuri e malsani. Il c.d. metodo del “trattenimento”.
Muccioli viene arrestato e processato e viene dapprima condannato in primo grado ad un anno ed otto mesi per sequestro di persona e maltrattamenti, per poi essere completamente scagionato nel processo di appello.
Nello specifico secondo la Corte d’appello di Bologna, il soggetto accedendo alla Comunità di San Patrignano prestava il consenso a sottoporsi a suoi programmi terapeutici.
Quindi automaticamente accettava di essere privato della libertà personale e di essere sottoposto finanche alla segregazione.
SanPa, “Fama”
Impressionati le folle di genitori dei tossicodipendenti, grati a Muccioli che gremivano le aule di giustizia per sostenere il salvatore dei loro figli.
Il processo non ebbe alcun effetto di discredito sulla figura di Muccioli che anzi venne osannato dall’opinione pubblica.
Il clamore mediatico intorno alla vicenda contribuì a far conoscere la comunità di San Patrignano.
l’attenzione dei media comportò la crescita esponenziale della comunità sia in termini di ospiti, anche noti, che di strutture e di animali (tra cui cani e cavalli di razze pregiatissime).
Addirittura, all’interno della comunità, venne edificata una struttura ospedaliera finalizzata all’assistenza dei malati di AIDS, la malattia che esplose nella metà degli anni ’80 mietendo tantissime vittime proprio tra i tossicodipendenti.
Il legame della famiglia Moratti a San Patrignano
Nel contesto del c.d. processo delle catene entrarono in scena Gianfranco e Letizia Moratti.
I coniugi addirittura si trasferiscono nella comunità nel mese di detenzione preventiva di Muccioli per sostenere i ragazzi che decisero di restare a San Patrignano in attesa del ritorno del suo fondatore dal carcere.
Dalla serie non emerge come mai i coniugi si avvicinassero a Muccioli e a San Patrignano, ma si formulano delle mere ipotesi.
La verità ad oggi resta un mistero. Fatto sta che la famiglia Moratti appare fondamentale per lo sviluppo della comunità mostrando, da sempre, un enorme sostegno morale ed economico che perdura a tutt’oggi.
SanPa, Le Tenebre di San Patrignano
Nei primi tre episodi Muccioli, tra mille contraddizioni, appare prevalentemente, un personaggio eroico e salvifico, anche in virtù dell’assoluzione in appello nel processo delle catene (divenuta definitiva in Cassazione nel 1990).
Invece, i due episodi conclusivi (rispettivamente denominati ” declino” e “caduta”), puntano il faro sulle vicende più cupe che contraddistinsero i suoi ultimi anni di vita.
Emerge la rappresentazione della parte più discutibile del metodo San Patrignano: coercizione, controllo, organizzazione paramilitare o tipo struttura detentiva.
Muccioli, oramai imprenditore ed ospite di convegni e salotti televisivi, pur sempre deus ex machina della comunità, iniziò a delegare gran parte della gestione.
L’enorme espansione della comunità comportò la divisione in settori e la nomina di responsabili di settore.
SanPa, “Declino”
Accaddero gravi ed inquietanti fatti di cronaca e la condotta di Muccioli emerge contraddittoria e collusiva.
Agghiacciante il racconto di Fabio Cantelli a cui venne nascosta per anni la notizia circa la sua sieropositività, così come la narrazione del fratello di Natalia Berla, morta suicida (?) ed in circostanze misteriose a seguito di percosse e vessazioni.
Deprecabile la pratica del controllo di tutta la corrispondenza in entrata ed uscita (metodo tipicamente carcerario).
Indicibile il commento di Muccioli rispetto ad un caso di stupro mentre mostra una matita che non riesce a centrare un anello (alludendo all’impossibilità di intrattenere rapporti sessuali non consenzienti).
Non condivisibile la gestione paramilitare che oramai distingueva la comunità dove si erano creati dei veri e propri reparti punitivi.
In tali reparti pare si perpetrassero devastanti punizioni corporali sui soggetti considerati più ribelli.
SanPa, Il processo Maranzano
Una situazione probabilmente sfuggita di mano, che aveva condotto alla tortura ed alla barbara uccisione con occultamento di cadavere del malcapitato Roberto Maranzano da parte del responsabile del settore lager “porcilaia – macelleria”.
Si tratta di Alfio Russo, persona affetta da problemi psichici tanto da venire ritenuto parzialmente incapace di intendere e di volere a seguito perizia psichiatrica.
Il gravissimo fatto di cronaca comportò per Muccioli un processo per omicidio colposo e per favoreggiamento.
Il processo che lo vide assolto in primo grado dal reato di omicidio colposo, ma colpevole del reato di favoreggiamento, rimase senza verdetto definitivo per la prematura scomparsa dell’imputato.
“Caduta”
Il “tradimento” di Delogu
In tale contesto emerge la figura poco chiara dell’autista Walter Delogu che da fedelissimo di Muccioli ne diventa il principale accusatore.
Il racconto di Delogu appare sincero ed appassionante nel descrivere i primi anni della comunità e la sua esperienza di autista e di body guard di Muccioli all’apice della sua fama.
Mentre la sua figura si offusca nel racconto sulla registrazione delle agghiaccianti conversazioni con Muccioli effettuata, probabilmente, per ottenere benefici personali.
Fatto sta che nella registrazione Muccioli chiede a Delogu di commettere un omicidio. L’ascolto della voce di Muccioli arriva come una spada. Tale prova non fu mai acquisita nel processo, ma lascia sicuramente dubbi laceranti.
La morte di Muccioli
Vincenzo Muccioli, oramai deluso dai suoi traditori e provato dalle vicende giudiziarie dopo mesi di assenza dalla scena pubblica muore il 19 settembre 1995 a 61 anni nella sua casa di San Patrignano di un male mai precisato dalla famiglia.
Nella stessa serie si fa rifermenti esplicito all’AIDS contratto in circostanze mai chiarite.
SanPa, Le luci e le tenebre secondo Fabio Cantelli
In tutto ciò appare veramente illuminante ed emozionante la straordinaria figura di Fabio Cantelli, allora portavoce di San Patrignano che ammette le enormi difficoltà vissute nel portare avanti pubblicamente tesi poco credibili in ordine ai loschi fatti di cronaca occorsi.
Durante tutti gli episodi Fabio Cantelli ci regala un racconto struggente sulla sua lotta alla dipendenza e sulla propria vita fuori e dentro San Patrignano.
In ogni narrazione egli appare pervaso da sentimenti contrastanti molto potenti.
La riconoscenza, per la salvezza dalla tossicodipendenza seppur a caro costo: “chiudendomi in uno stanzino mi ha ridato la libertà” afferma Cantelli.
La delusione e la rabbia per sieropositività nascosta, per i metodi disumani, per le verità celate e per la deriva di violenza fuori controllo che culminò col caso Maranzano.
Il tono della voce, che cede a momenti di composta commozione, lo sguardo sofferente, le sue preziose osservazioni sui fatti che lasciano emergere un ragionato senso critico, rendono il suo racconto il più autentico.
Conclusione
Al di là dell’eterno dibattito tra difensori ed accusatori di Muccioli, il titolo stesso dell’opera e, soprattutto, le toccanti parole pronunciate da Cantelli alla fine del docufilm, racchiudono la vera essenza del progetto di rielaborazione storica.
La volontà, appunto, di raccontare le luci e le tenebre di San Patrignano del periodo Muccioli tra il 1978 ed il 1995.
Cantelli si sofferma su quello che ritiene il grande errore di San Patrignano all’epoca degli incresciosi fatti di cronaca: l’avere prediletto la difesa dell’immagine pubblica rispetto alla verità, così perdendo la sua anima.
Una verità che può rivelarsi spesso contradditoria, sfuggente, molteplice come la vita stessa. Chiudere la porta alla verità significa chiudere la porta alla vita, secondo il filosofo, ex ospite e portavoce della comunità il quale conclude:
“Quello che sono lo sono grazie a Vincenzo e anche grazie a San Patrignano, anche se mi tocca riconoscere..nonostante Vincenzo e nonostante San Patrignano”.
TRAILER : https://youtu.be/tz9IIUyilu8