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Un artista poliedrico e a tutto tondo
Andrea Fumagalli, detto più comunemente Andy, è nato a Monza nel 1971 ed è conosciuto da tutti per essere stato un membro dei Bluvertigo. In realtà egli non è solo un musicista ma è un vero e proprio artista a tutto tondo, infatti oltre ad essere polistrumentista e cantante, è anche pittore e DJ. Indubbimanete un personaggio eccentrico e poliedrico che da qualche anno gira per i locali d’Italia suonando/ cantando musica dal vivo e svolgendo DJ set, coinvolgendo sempre più persone grazie alla sua musica e alla sua passione per l’arte. In particolare a marzo 2019 è stato ospite presso “L’Osteria della musica” a Cepagatti, insieme alla tribute band di David Bowie di nome “Space Rebel”. Durante la serata è stato molto disponibile e gentile con tutti i suoi fan, rilasciando a noi di WebMagazine24 un’intervista esclusiva.
Tra musica e pittura: dichiarazioni di un artista
Cosa puoi raccontare della tua passione per la pittura?
“La mia pittura e la passione per la pittura nasce da quando ero bambino e i miei mi portavano alle mostre o a vedere i musei e ne ero particolarmente emozionato, quindi poi ai tempi dell’istituto d’arte ho sempre sognato tra virgolette di fare ciò che sto facendo ora, cioè il pittore che fa anche le mostre in gallerie o le installazioni…e quindi tutte queste belle conseguenze di un’intuizione fluorescente.”
Successivamente:
Essendo polistrumentista qual è lo strumento che senti più tuo?
“Io sono polistrumentista, ma strimpello gli strumenti. Non sono mai sceso nel dettaglio più di tanto. Diciamo che il mio strumento è il sassofono e poi il sintetizzatore. Con il synth penso di sentirmi a casa soprattuto con il mio Roland Juno 60. E poi la voce! Ho iniziato grazie a Magena, che è un insegnante polacca che mi ha dato delle importantissime lezioni di canto – cosa che a livello tecnico ho sempre ignorato, e mi sono mosso sempre abbastanza spontaneamente – e ultimamente questo mi permette di utilizzare la voce come uno strumento in maniera differente rispetto a prima.”
Il futuro (ipotetico) dei Bluvertigo
Cosa puoi dirci (se puoi) del futuro dei Bluvertigo?
“Mah non so cosa dire al momento. Ci sono varie possibilità, ma di concreto al momento non c’è niente. Però siamo in buoni rapporti fra di noi, penso che sia già tantissimo questo ecco.”
Andy dei Bluvertigo: i modelli a cui si ispira e il suo concetto di “modello”
Quali sono i modelli ai quali ti ispiri?
“Beh David Bowie e non posso negarlo, e anche il suo insegnante di mimo Lindsay Kemp che è un guru fondamentale e poi i Depeche Mode per quel che riguarda l’equipe ecco. Cioè oltre alla musica soprattutto i Depeche fino ad Alan Wilder. E della nuova era invece i Death Machine: ho trovato un disco interessante. Per il resto si parla di “modelloo” per quel che riguarda l’equipe a mio parere: quando la casa discografica – e il discografico – è quasi un membro della band.
Nel caso dei Depeche Mode era Daniel Miller con la Mute e quindi poi c’era Alan Wilder che si occupava dei suoni e degli arrangiamenti. Dave Gahan della figura di front-man. Martin Gore come song writer e Andrew Flechter il PR: quello che ha sempre gestito i rapporti anche di affari della band. Aveva musicalmente un ruolo più marginale, ma fondamentale nel tenere insieme i pezzi. E Anton Corbijn alle fotografie e ai video. E quindi è un modello per quel che mi riguarda, è il sogno di sempre per quel che riguarda il lavoro di equipe, di squadra, dove ognuno ha una precisa mansione e si sono suddivisi i compiti creando un successo intramontabile.”
Andy dei Bluvertigo: tra DJ set e concerti
Per concludere:
E’ più appagante il contatto con il pubblico durante i dj set o durante i concerti?
“Beh il contatto con il pubblico nel concerto è differente, nel senso che è molto più efficace, ma soprattutto è una questione anche fisica.
Nel senso che c’è un impianto che dal palco spinge verso la gente, e la gente con il proprio impianto energetico spinge verso il palco.
La pista del dj spesso è amplificata in quadrifonia: ci sono più casse per cui è già una botta e risposta differente. E’ un coinvolgimento molto più freddo soprattutto perchè dal vivo sul palco hai gli strumenti che suonano, funzionano tra microfoni, amplificazione e voce. Mentre nel caso del dj set io non sono un dj, sono un selector quindi metto dei file e ci gioco per cui è un approccio musicale completamente differente. Però diciamo che la mia versione del dj mi ha dato modo di capire un mondo che non conoscevo.
Ho preso parte in club dove viene messa la dance, piuttosto che il rock club o il gothic club, oppure l’intrattenimento per l’evento aziendale, per cui penso che sia stato comunque un meccanismo di ricerca e di esperienza che mi ha permesso di continuare a lavorare nella musica anche con l’avvento delle tribute band.
Per carità anche io ho una tribute band: con i “The White Dukes” cerco di personalizzare, ma quando i club sono stati colonizzati dalle cover band di Vasco Rossi, Ligabue o i Negramaro, penso sia diventato più difficile lavorare nei club live. Quindi il dj set mi ha permesso di continuare a cercare musica del passato , e del presente. Insomma, è sempre uno strumento di ricerca.”
Fonte articolo: intervista svolta in prima persona.
Fonte foto articolo: foto scattate durante la serata.