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Giuseppe Molaro, classe 1986 è tra gli chef campani più apprezzati a livello mondiale. Nasce nella città di Ottaviano ma il suo prestigioso curriculum lo ha portato in giro per il mondo. Nel suo amore per la cucina, nasce la sua identità da chef creativo, che sposa alla perfezione con un pregevole uso della materia. Tokyo, Dubai, Portogallo e l’esperienza al fianco del pluristellato Heinz Beck. La sua idea di piatti e di menù riconduce alle sue molteplici esperienze molto personali. In ogni luogo o territorio , ha attinto il meglio degli ingredienti, trasmutandolo alla sua maniera. Nella suo percorso Giuseppe Molaro, costruito con estrema umiltà. costruisce il suo modello di cucina nel 2019 : il Contaminazioni Restaurant. Due anni dopo la consacrazione con la Stella Michelin. Simbolo del suo ristorante è la libellula. E tutto sembra ruotare attraverso questo concetto libertario e di forza.
Giuseppe Molaro: l’intervista
Lei inizia giovanissimo, a 14 anni a lavorare nel ristorante di famiglia. Poi inizia il suo percorso in giro per l’Italia. A distanza di molti anni, come definirebbe quel periodo lavorativo della sua vita?
Ho iniziato la mia carriera all’età di 14 anni nel ristorante di famiglia; mentre osservavo mio padre cucinare, ho cominciato a pensare: è questo quello che voglio fare nella vita!! Grazie poi all’appoggio dei miei genitori, ho intrapreso questa bellissima strada iscrivendomi alla scuola alberghiera. La cucina è sempre stata il mio campo, per me essere chef non è solamente un’occupazione, è un modo di vivere, è passione. La cucina mediterranea è sicuramente più variegata rispetto a quella irlandese È sicuramente molto più equilibrata e combina in proporzioni ottimali carboidrati, proteine e grassi.
Poi ampliando il proprio bagaglio da chef, è al fianco di Heinz Beck. Cosa le ha insegnato stare al fianco di chef importanti?
La mia prima esperienza in una cucina stellata, è stata con Santi Santamaria, dove ho mosso i primi passi nella conoscenza e nel trattamento di materia prima di altissima qualità. È stato molto importante per la mia formazione, ho imparato cosa vuol dire lavoro di squadra, la disciplina, il rigore, pulizia, il porsi e soprattutto il raggiungere obiettivi. Dopo 2 anni e 2 mesi, grazie alla voglia di accrescere il mio bagaglio culturale, da una cucina classica sono passato ad una cucina salutare e sperimentale con Heinz Beck. Grazie a lui ho imparato a mettere insieme estetica e gusto e ho scoperto nuove tecniche portandomi a conoscere attrezzature d’avanguardia.
Ho scoperto nuovi ingredienti e nuove combinazioni per dare vita a nuovi sapori. Mi ha dato modo di studiare diverse combinazioni alimentari cercando di limitare il consumo di fritture, di sostituire farine raffinate con farine ingorgarmi e scegliere alimenti freschi e non già trasformati.
Poi per lavoro ha avuto modo di conoscere anche la cucina orientale, a Tokyo. Cosa le ha lasciato dentro quell’esperienza?
Nel 2014 si parte per il Giappone, Tokyo. Contentissimo di arrivare in Oriente, mi ritrovo in quello che io definisco il Paradiso dei Cuochi per la cura della materia prima, per la tipologia di cucina, per le attrezzature. Ricordo il momento in cui atterrai nel continente Asiatico: è stato scioccante perché quasi nessuno parlava inglese, io non parlavo giapponese, ed è stato divertente provare a comunicare. Fortunatamente, sono riuscito ad arrivare al centro di Tokyo senza problemi. Era estremamente eccitante l’idea di trovarmi in un Paese completamente nuovo, da solo, pronto a trarre ogni beneficio da questo “viaggio”. Per le prime 48h non ho dormito, voglioso sempre di più di scoprire mercati, prodotti, ristoranti. Voglio raccontare un aneddoto che ha poi condizionato anche la cucina da me proposta a “Contaminazioni Restaurant”: la prima volta che conobbi la sua famiglia, genitori e nonni, ho capito finalmente l’essenza della cucina giapponese: la fermentazione. Loro sono soliti fare in casa tantissime fermentazioni per preservare la materia prima. Ho assaggiato cose che mi hanno fatto provare sensazioni indescrivibili: rimasi letteralmente folgorato.
Contaminazione, materia e creatività. Sono le tre formule che l’hanno condotta alla Stella Michelin nel 2021. Quale mette al primo posto nella sua cucina?
La mia esperienza in giro per il mondo mi ha portato a conoscere materie prime di alta qualità di ogni città in cui sono stato. Quello che ho fatto in ogni Paese è stata la ricerca degli ingredienti, la comprensione dell’unicità basata sul mercato locale e sulla preferenza locale, la stagionalità, per poi trasformare il tutto in un sapore inaspettato, in cui ingredienti e gusto devono essere abbinati tra di loro. Quando creo i menù, la stagionalità e la materia prima vengono prima di tutto.
Che filosofia gastronomica ha Giuseppe Molaro in cucina?
Più che un aggettivo, utilizzerei un sostantivo che rappresenta il simbolo del mio ristorante: la libellula. Sin dai tempi antichi, la libellula è vista dai giapponesi come una creatura di grande bellezza e un simbolo di forza interiore. In passato le libellule venivano chiamate anche kachimushi, che significa letteralmente insetto vincente, e questo nome è dovuto al fatto che le libellule volano sempre avanti e non retrocedono mai. Una qualità particolarmente apprezzata dai guerrieri samurai. Per questo motivo i samurai usavano incidere una libellula sui propri elmi per simboleggiare la vittoria sul nemico, la chiarezza mentale, il controllo, la forza e il coraggio.