Vaccino Coronavirus: la corsa alla cura è tutt'altro che finita

Vaccino Coronavirus: la corsa alla cura è tutt’altro che finita

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Tutti hanno celebrato la notizia di questo mese che non uno ma due vaccini sperimentali contro il Covid-19 risultano efficaci per almeno il 90% nel prevenire la malattia negli studi clinici in fase avanzata. Tuttavia la ricerca per capire come il virus Sars-CoV-2, che causa il Covid- 19, interagisce con il sistema immunitario umano non trova sosta. I ricercatori devono ancora rispondere a tante domande sui vaccini Pfizer e Maderna. Ad esempio quanto bene proteggeranno gli anziani e per quanto tempo? Quali aspetti della risposta immunitaria che provocano sono protettivi e quali no? Possiamo ottenere risultati ancora migliori, con vaccini che prendono di mira diverse parti del sistema immunitario? Dunque, la soluzione del vaccino contro il Coronavirus è tutt’altro che semplice.

Probabilmente avremo bisogno di diversi vaccini contro il Covid-19 per coprire tutte le categorie. In caso di emergenza, nel caso in cui il virus muti e “sfugga” alla capacità di un vaccino di neutralizzarlo, serve un modo per limitare i danni. Ma abbiamo anche bisogno di metodi migliori per diagnosticare e curare la malattia. La recente sospensione di due importanti sperimentazioni sui vaccini a causa di gravi eventi avversi è un salutare promemoria che c’è ancora molto da imparare. Una pandemia, anche se nessuno ne vorrebbe una, offre agli scienziati un’opportunità d’oro per l’apprendimento.

Come funziona il vaccino Coronavirus che stiamo vedendo oggi?

Come la maggior parte dei vaccini contro il Covid-19 candidati, quelli Pfizer e Moderna vengono iniettati nel muscolo. Da lì entrano nel flusso sanguigno e stimolano la produzione di anticorpi contro Sars-CoV-2. Ma gli anticorpi sono solo un componente della risposta immunitaria adattativa del corpo, che si sviluppa nel tempo, in risposta all’invasione di un virus o di un altro patogeno. C’è anche un’immunità innata, con la quale siamo nati e che viene mobilitata immediatamente dopo l’infezione, ma non è adatta a nessun agente patogeno specifico. “Ci sono molte parti in movimento in questa situazione“, afferma l’immunofarmacologo Stephen Holgate, dell’Università di Southampton nel Regno Unito.

Holgate è uno dei fondatori di Synairgen, una società spin-off dell’Università di Southampton che ha testato l’interferone beta inalato. Si tratta di un’importante difesa innata che funziona bloccando la replicazione virale, come trattamento per il Covid-19. Un importante studio internazionale sostenuto dall’Organizzazione mondiale della sanità, chiamato Solidarity, ha dimostrato che l’interferone beta non era efficace nel trattamento dei pazienti ospedalizzati. Synairgen ha pubblicato i risultati di un piccolo studio pilota che suggerisce che somministrato a pazienti con malattia più lieve – e inalato piuttosto che iniettato sotto la pelle – ha migliorato il recupero. 

Il motivo per cui i pipistrelli sono in grado di ospitare questi virus in così gran numero è che hanno una risposta all’interferone molto forte“, afferma Holgate. “Per questo motivo, non sviluppano malattie“. Synairgen sta ora testando se l’interferone beta può prevenire il ricovero in ospedale nei pazienti che lo inalano subito dopo essere risultati positivi, a casa. Se l’approccio funziona, dice, il vantaggio è che continuerà a farlo anche se il virus muta. Questo perché l’azione dell’interferone non dipende dalla struttura del virus.

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Fonte immagine copertina: Pixabay

 

 

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Autore dell'articolo: Francesco Menna

Mi chiamo Francesco, classe 96. Laureato in Ingegneria Meccanica e studente alla magistrale di Ingegneria Meccanica per l'Energia e l'Ambiente alla Federico II di Napoli. Passione sfrenata per tutto ciò che ha un motore e va veloce. Per info e collaborazioni inviare una mail a framenna96@gmail.com