La notizia che sta facendo il giro del mondo sulla star del cinema Bruce Willis, dove dichiara il ritiro dalle scene a causa dell’afasia ha riacceso i riflettori su questo disturbo della comunicazione poco compreso.
Potremmo dire, in breve, che questa anomalia, provoca la perdita totale o parziale della capacità di esprimersi. E ancora di comprendere le parole di un testo scritto o del linguaggio verbale. In sintesi, a causa di un danno presente in alcune aree del cervello, che appunto controllano il linguaggio, chi ne è affetto ha problemi nel parlare, nel riferire o capire e difficoltà a leggere, o ripetere il linguaggio.
Afasia: cause più comuni
La causa più ricorrente è l’ictus o il trauma cranico; gli esperti sottolineano che, sebbene possa influenzare la produzione e la comprensione sia del discorso sia delle parole scritte,. normalmente non ha un impatto sull’intelligenza.
Colpisce circa 2 milioni di americani, secondo la National Aphasia Association, rendendola più diffusa del morbo di Parkinson, della paralisi cerebrale o della distrofia muscolare. Solo in Italia, i dati del 2021 riportano che circa 200.000 persone soffrono di afasia; l’incidenza è di 2 nuovi casi per 1.000 abitanti ogni anno.
Un sondaggio del 2016 condotto dallo stesso team, ha scoperto che meno del 9% delle persone sapeva cosa fosse.
“Mentre normalmente è causato da un evento specifico una tantum, come un ictus, ci sono altre possibilità; come ad esempio da una malattia neurodegenerativa”. Spiega Brenda Rapp, ricercatrice di scienze cognitive alla Johns Hopkins University.
In questi casi il danno è progressivo e la terapia si concentra sulla prevenzione di ulteriori perdite di funzione.
Tuttavia, nel caso dell’attore Willis, la famiglia non ha condiviso la causa della sua diagnosi nella dichiarazione; dunque risalire alla radice del problema non è semplice.
Ma quali sono le diverse tipologie?
“Il sistema cerebrale che governa il linguaggio è una “macchina molto complessa” che coinvolge la selezione delle parole giuste; muovendo la bocca in modo appropriato per vocalizzarle. Mentre, dall’altra parte, c’è il sentire e decodificare il loro significato“; ha detto la Rapp.
Tutti occasionalmente cercano di trovare la parola giusta, “ma si può immaginare che nell’afasia questo accade spesso”; ha aggiunto.
I medici a volte suddividono l’afasia in categorie cliniche più ampie che sono connesse al punto in cui si è verificata la lesione cerebrale.
Nell’afasia espressiva, o afasia di Broca (motoria) le persone “di solito capiscono abbastanza bene ma hanno problemi a far uscire le parole”; ha riferito la patologa del linguaggio Brooke Hatfield, dell’American Speech Language Hearing Association (ASHA). “Una persona con questo tipo di afasia in sostanza, ha perso la capacità di parlare e di scrivere, ma non ha perso la capacità di comprendere ciò che sente e ciò che legge”.
Nell’afasia ricettiva, o afasia di Wernicke (sensitiva) “le parole escono facilmente, ma potrebbero non corrispondere a quelle corrette. Ed è difficile per quella persona capire quello che sta pronunciando”, ha aggiunto Hatfield. Tradotto: è un deficit a carico della comprensione del linguaggio parlato e scritto, e di un’anomalia del dialogo e della scrittura.
Terapia della parola
“La buona notizia – continua Hatfield – è che tutti hanno la possibilità di migliorare a lungo termine”.
“Ci sono persone che hanno avuto l’ictus 30 anni fa, che ancora lavorano sul loro linguaggio e sulla comunicazione e continuano a fare progressi”.
“Il cervello è estremamente elastico, e la terapia della parola può coinvolgere altre parti di esso per “aggirare i blocchi stradali” delle aree danneggiate, e forgiare nuove connessioni”; ha osservato la Rapp.
Tale terapia allena anche le persone a parlare intorno al soggetto se si bloccano su una parola specifica.
I membri della famiglia possono anche sviluppare strategie per farsi capire meglio:
“Ad esempio, cose come: frasi più brevi, assicurarsi di parlare alla persona in piena vista invece che nell’altra stanza, o ancora ridurre al minimo il rumore di fondo”. Precisa Botha.
“Alcune persone se la cavano bene con i dispositivi di assistenza perché la loro capacità di scrivere non è influenzata allo stesso modo. All’orizzonte, ci sono trattamenti sperimentali che combinano la stimolazione elettrica del cervello con la terapia della parola che hanno potenziato la possibilità di recuperare la funzione”. Dice ancora Brenda Rapp.
In conclusione
“Tutti gli esperti hanno sottolineato la pazienza. L’afasia può essere frustrante, perché “le nostre relazioni con gli altri, dipendono tanto dalla capacità di parlare con loro e comunicare con loro”, ha asserito la Rapp, “Ciò può portare una persona o i chi le assiste a isolarsi”.