Il rover Curiosity rivela metano su Marte. La Nasa non ufficilizza ancora la notizia
Il rover Curiosity rivela metano su Marte. Si tratta della più grande quantità di metano mai misurata sul pianeta rosso (più del doppio di quella rinvenuta nel 2005). I dati sono giunti a noi giovedì scorso e, ad oggi, gli scienziati ne stanno ancora discutendo gli effetti. Il New York Times ha anticipato la notizia che, tuttavia, non è ancora stata ufficializzata dalla Nasa; l’agenzia governativa americana intende, infatti, effettuare maggiori verifiche, che potrebbero arrivare sulla Terra a breve. Il metano è un gas che sul nostro pianeta è solitamente prodotto da organismi viventi. La sua presenza su Marte può dunque determinare l’esistenza di microrganismi.
«Visto questo sorprendente risultato, abbiamo riorganizzato il weekend per eseguire un ulteriore esperimento» ha scritto Ashwin Vasavada, responsabile del team scientifico della missione, in una mail della quale il New York Times ha avuto visione.
La presenza del metano, nella rarefatta atmosfera marziana, è significativa, perché la luce solare e le reazioni chimiche ne distruggerebbero le molecole nel giro di pochi secoli. Questo significa che il metano rilevato deve essere stato rilasciato recentemente. Tuttavia, anche le reazioni geotermiche, prive di attività biologica, possono produrre metano; è anche possibile, quindi, che questo gas sia di origine antica, liberato all’interno del pianeta per milioni di anni in maniera intermittente attraverso le crepe del terreno.
Nel 2020 avrà luogo la missione ExoMars
L’unico modo per confermare o meno tali ipotesi è andare a cercare direttamente eventuali forme di vita sul Pianeta rosso. Nel 2020 la missione ExoMars 2020, organizzata dall’Esa e dall’agenzia spaziale Roscosmos, scaverà su Marte fino a due metri di profondità; per raggiungere tale scopo si servirà dell’aiuto della trivella italiana costruita dal gruppo Leonardo.
“Se la missione dovesse rinvenire tracce di batteri, questi ultimi potrebbero costituire la fonte del metano“, afferma il professor Enrico Flamini, docente di Esplorazione del Sistema Solare all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara.
Fonte Immagine: Radio Arenzano